L’antibiotico-resistenza è un fenomeno di adattamento di alcuni microrganismi che acquisiscono la capacità di sopravvivere o di crescere in presenza di un agente antibatterico. Alcuni microrganismi hanno una resistenza intrinseca, altri invece, prima sensibili ad un particolare antimicrobico, acquisiscono nel tempo resistenza nei suoi confronti. La diffusione di patogeni antimicrobico-resistenti rende le infezioni più difficili da trattare con il rischio di patologie più severe. Questo fenomeno nasce da uno scorretto ed eccessivo utilizzo degli antibiotici, sia in campo umano sia in ambito veterinario. I dati del rapporto Osmed sul consumo dei farmaci nel 2022 ha evidenziato una ripresa del consumo degli antibiotici, in aumento del 24% rispetto al 2021. Le penicilline da sole coprono un terzo del consumo. Anche altri fattori come il mancato controllo delle infezioni in ambito assistenziale, la maggiore mobilità globale, campagne vaccinali insufficienti hanno contribuito ad aggravare il problema della antimicrobico-resistenza, tanto da definirla una “pandemia silente”.
I dati italiani della sorveglianza sull’antimicrobico-resistenza mostrano una situazione stabile. Sebbene le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli 8 patogeni sotto stretta sorveglianza, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species, si mantengono elevate, in qualche caso sono in diminuzione rispetto agli anni precedenti, come per esempio la percentuale di resistenza alle cefalosporine di terza generazione nelle infezioni da Escherichia coli.
La riferita allergia alla penicillina è una problematica molto comune nella pratica clinica. Studi in Gran Bretagna, Stati Uniti ed Australia stimano una prevalenza dall’8 al 25%, ma soltanto l’1-10% dei pazienti presenta una vera allergia alla penicillina, in base a test allergologici standardizzati. L’allergia alla penicillina non può più essere considerata un’entità passiva nella propria storia clinica, a causa delle potenziali sequele negative che comporta.
L’approfondimento delle circostanze che hanno portato alla diagnosi di allergia alle penicilline è la conditio-sine-qua-non per differenziare le reazioni su base immuno-mediata rispetto a quelle legate a meccanismi non-immunologici. Il fine è quello di determinare la strategia più sicura di de-labeling, inteso come il processo diagnostico che si pone come obiettivo di togliere l’etichetta di “allergico” ad un paziente con pregressa reazione avversa a farmaci. Nell’anamnesi, lo spazio dedicato alle allergie a farmaci rappresenta in primis un alert per i colleghi, al fine di non riesporre il paziente ad un farmaco che non ha tollerato e soprattutto potenzialmente nocivo. Spesso però il termine “allergia” è usato in modo vago e improprio, in quanto non vengono fornite informazioni sufficienti per distinguere una reazione immuno-mediata dai comuni effetti collaterali, che non precluderebbero l’uso del farmaco. Infatti, i pazienti non sempre sono in grado di riferire dettagli anamnestici precisi, soprattutto quando la reazione avversa si è verificata durante l’infanzia, come spesso accade con gli antibiotici beta-lattamici. La prescrizione di antibiotici alternativi è associata ad esiti peggiorativi in termini di morbilità e mortalità. Infatti on sempre gli antibiotici alternativi hanno un’efficacia paragonabile a quella delle penicilline e ciò comporta tempi di ospedalizzazione più lunghi e il rischio di incrementare l’antibiotico-resistenza. Tutto questo determina un aumento dei costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale.
Gli “Antimicrobials Stewardship Programs” (ASP) hanno lo scopo di incrementare l’efficacia dei trattamenti riducendo il rischio di antibiotico-resistenza, incoraggiando l’uso delle Linee Guida e delle evidenze scientifiche nella prescrizione dei farmaci Il de-labeling dell’allergia alle penicilline si inserisce in questa ottica, in particolare in quei pazienti a basso rischio, per esempio nel caso di reazione avversa di grado lieve come la comparsa di rash cutaneo limitato o orticaria senza prurito a distanza di più di 6 ore dalla prima dose del farmaco, in assenza di coinvolgimento delle mucose o di organi interni. Questi pazienti potrebbero potenzialmente essere sottoposti a test di provocazione orale con una aminopenicillina, senza effettuare prima i test cutanei. Il test di provocazione orale in unica somministrazione o in dosi frazionate del farmaco, è la metodica di riferimento per valutare le reazioni di ipersensibilità immediata ai farmaci. La stratificazione del rischio, paziente per paziente, è fondamentale per decidere quale sia l’approccio migliore per il de-labeling. In caso di pazienti ad alto rischio (es. orticaria generalizzata, anafilassi), si eseguono in prima battuta i test cutanei e a seguire il challenge test.
In caso di situazioni di infezioni che pongono a rischio la vita del paziente, quando non si ha il tempo per un de-labeling o non è possibile prescrivere un antibiotico alternativo, è possibile effettuare una desensibilizzazione al farmaco. La procedura prevede la somministrazione di dosi crescenti di farmaco ad intervallo di tempo regolari, fino al raggiungimento della dose terapeutica, in modo da instaurare una tolleranza temporanea. Il paziente può pertanto assumere il farmaco in sicurezza per il periodo necessario, assicurandosi che l’intervallo tra le dosi non sia superiore a più di 24 h.
Sfortunatamente, i test sierologici attualmente disponibili per la diagnostica dell’allergia alle penicilline hanno importanti limiti di sensibilità e specificità, pertanto presentano una valenza limitata nel work-up diagnostico e nel de-labeling.
La consapevolezza che la maggior parte dei pazienti abbia una diagnosi errata di allergia alle penicilline sottolinea il bisogno di validare strumenti clinici e protocolli standardizzati per ottenere un rapido de-labeling, in particolare in quei pazienti a basso rischio che potrebbero essere sottoposti al challenge test, garantendo la sicurezza per il paziente e migliori outcome clinici e di spesa sanitaria.
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Dirigente medico in Allergologia e Immunologia clinica, ASST Mantova, Ospedale Carlo Poma