Giuseppe Murdaca1, Rosa Amato2, Lucia Massolo2, Andrea Orsi2

1 SSD di Allergologia e Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Genova e Ospedale San Bartolomeo, 19038 Sarzana, Italia

2Dipartimento di Scienze della Salute, Università di Genova, Genova, Italia.

 

 

Si definiscono “immunocompromesse” le persone che presentano un sistema immunitario indebolito, con ridotta capacità di montare una risposta immunitaria efficace nei confronti di un microrganismo patogeno. Tale condizione rende questa categoria di soggetti una popolazione particolarmente vulnerabile alle infezioni e alle forme gravi di malattia.

Se la causa dell’immunocompromissione è ereditaria o genetica si parla di “immunodeficienza primaria”, mentre se tale condizione è conseguenza di una malattia o della sua terapia si parla di “immunodeficienza secondaria” (tra queste si annoverano malattie autoimmuni, malattie croniche, come diabete ed insufficienza renale cronica, infezioni da HIV, trapianti di organi e terapie mediche, come la chemioterapia, l’uso di corticosteroidi o di farmaci immunosoppressori).

La vaccinazione in questi pazienti è cruciale per prevenire infezioni potenzialmente letali, riducendo l’impatto delle stesse sulla vita dei pazienti e sul sistema sanitario: infatti, in caso di infezione questi individui presentano maggiori probabilità di sviluppare complicanze della loro condizione di base o della malattia prevenibile attraverso la vaccinazione, che possono portare a sequele a lungo termine, ospedalizzazioni e persino al decesso. Per questo gruppo di soggetti a rischio, la prevenzione deve essere un obiettivo di salute pubblica e individuale di fondamentale importanza. Per fornire una risposta di sanità pubblica adeguata, le autorità sanitarie concordano sulla necessità di vaccinare in via prioritaria i soggetti immunocompromessi.

Tuttavia, nonostante l’evidenza di efficacia e sicurezza, la diffusione delle vaccinazioni in questi gruppi di popolazione è spesso inferiore alle aspettative: le ragioni di ciò vanno ricercate nel timore di effetti avversi o di malattie causate dal vaccino, nella difficoltà di accesso (e in alcuni contesti, nei costi) della vaccinazione e nella mancanza di consapevolezza sulla necessità della vaccinazione e sulle raccomandazioni nazionali ed internazionali.

Tra la popolazione immunocompromessa, la gravità dell’immunosoppressione varia a seconda della condizione e dei farmaci usati per il trattamento: questi fattori influenzano le infezioni a cui i soggetti immunocompromessi sono predisposti e la scelta della strategia di immunizzazione. Inoltre, nelle strategie di vaccinazione va considerato che la risposta immunitaria a molti vaccini può essere attenuata in questa categoria di pazienti, rendendo necessaria una personalizzazione ed un monitoraggio attento della strategia di vaccinazione scelta.  È quindi necessario seguire scrupolosamente le raccomandazioni specifiche di ciascun vaccino in base alla situazione individuale del paziente.

In generale, i vaccini vivi attenuati (che contengono virus o batteri vivi, ma indeboliti), come quello contro morbillo-parotite-rosolia (MMR) e il vaccino contro la varicella, non possono essere utilizzati in soggetti immunocompromessi a causa del rischio di indurre la malattia, ma possono essere sicuri in pazienti con immunocompromissione lieve o moderata; invece, tutti i vaccini inattivati e i vaccini a subunità (che contengono virus o batteri uccisi o componenti proteici specifici), come il vaccino antinfluenzale inattivato, il vaccino contro l’epatite B e il vaccino antipneumococcico, possono essere somministrati in modo sicuro alle persone immunocompromesse.

La tempistica della vaccinazione è cruciale per massimizzare l’efficacia e ridurre i rischi. Idealmente, le vaccinazioni dovrebbero essere completate prima dell’inizio della terapia immunosoppressiva. Inoltre, nei pazienti già in terapia, è importante coordinare il timing delle dosi vaccinali con il trattamento per ottimizzare la risposta immunitaria.

Data la variabilità nella risposta immunitaria, è spesso necessario monitorare i titoli anticorpali post-vaccinazione per assicurarsi che il paziente abbia sviluppato un’adeguata protezione. In alcuni casi, possono essere necessarie dosi aggiuntive di vaccino o misure preventive alternative.

Infine, è fondamentale vaccinare anche i conviventi al fine di fornire la massima protezione ai soggetti ad alto rischio.

In sintesi, la vaccinazione rappresenta un pilastro cruciale per la protezione della salute collettiva ed individuale, specialmente per gli individui immunocompromessi. Si tratta di un area complessa che richiede un approccio multidisciplinare che ponga al centro dell’attenzione l’individualità del singolo paziente e dedichi la giusta attenzione alla consapevolezza dello stesso nei confronti della sua condizione di fragilità e delle vaccinazioni come strumento di prevenzione e di miglioramento della qualità della propria vita.

 

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